Leggere non significa essere morali. Leggere è
un atto pratico, su cui non è possibile dare un giudizio di valore.
Essenzialmente formale questo atto attende il suo contenuto dalla volontà
individuale. Perciò non esiste il libro del popolo (come non esiste
il popolo, definito e compiuto). Non esiste il libro difficile ne il libro
facile. Il libro facile, dilettevole [...] è immorale. Morali sono
soltanto il lavoro, la fatica, l'energica volontà; la gioia tranquilla,
il compiacimento inerte sono infeconda debolezza umana. I libri che vorrebbero
recare la gioia al popolo si dirigono ad un popolo di maniera e lo solleticano
al più banale sentimentalismo. Queste facili letture che vorrebbero
(e ci riescono, infatti) sostituirsi alla tendenza al vizio sono più
viziose della bettola, perché con maggiore ipocrisia ricercano diletti
sensuali (c'è una sensualità del sentimentalismo, del misticismo,
della facile erudizioncella). La cultura e l'elevazione del popolo
sorgono col desiderio di vedere chiaro nelle proprie condizioni, nei propri
bisogni. Allora scompare il concetto inerte o corruttore, del 'facile'.
Conosciamo operai che han voluto leggere Marx e lo hanno penetrato. Poi
sono riusciti a leggere Dante e Leopardi. L'economia individuale, diventata
esperienza, generava il libero esercizio di una cultura critica disinteressata:
dall'economia all'etica, dal partito all'umanità. "L'Ordine Nuovo"
stampa articoli di fondo che i lettori del "Resto del Carlino" leggerebbero
a disagio: gli operai non li intendono a prima lettura, si raccolgono insieme,
li discutono, li assimilano. Volete una cultura popolare? Scatenate le
autonome volontà e le libere iniziative: ne
sorgeranno reali problemi cui i non ancora esperti sapranno
dare solide soluzioni. Allora si preparerà ognuno il suo elenco
di libri da leggere...
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